2008-2014. Anni di crisi che lasciano con l’amaro in bocca. Statistiche e sondaggi non risparmiano nessuno. I carburanti a basso impatto GPL e metano hanno la fortuna di rientrare nella green economy, l’unica che continua a crescere.
Vuoi perchè molti prodotti e soluzioni si affacciano ora sul mercato, quindi non possono che crescere, vuoi perchè l’impegno a favore di una società più ecologica e attenta al risparmio, soprattutto energetico, sta diventando un imperativo per tutti, cittadini, aziende e Governi.
Soddisfatti dal mini-accordo raggiunto da Cina e Stati Uniti sulle emissioni (pag. 18) ma anche amareggiati dall’assenza dello Stato sulla promozione della mobilità ecologica. I pochi stanziamenti rimasti per l’acquisto di mezzi a basse emissioni – gli incentivi BEC, www.bec.mise.gov.it – quasi certamente non verranno rifinanziati. La Legge di Stabilità pare abbia sfilato quanto previsto per il 2015, restano solo (pochi) fondi per la sostituzione delle flotte le cui caratteristiche restrittive non hanno mai consentito un utilizzo diffuso. Non parliamo poi della conversione a gas, che non gode più di alcun aiuto, se non quello che è capace di dare a se stessa, visto che GPL e metano continuano a consentire risparmi economici notevoli nel rispetto dell’ambiente.
Non è realistico pensare che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (2/12/14) del decreto di approvazione del Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica abbia un impatto positivo, mentre il biometano attende la messa a punto della normativa. Tutto di là da venire… Intanto ci si interroga sul futuro: la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, promotrice degli Stati Generali della Green Economy, il 16 dicembre ha presentato a Roma in Campidoglio, lo studio Green Economy e veicoli stradali: una via italiana, in collaborazione con le Associazioni rappresentative dei settori GPL, metano e GNL come il Consorzio Ecogas.
L’auto a gas costituisce uno dei possibili campi di sviluppo della green economy? La ricerca dimostra di sì, partendo da una fatto: in Italia circola il 77% delle auto a metano presenti in Europa e il 27% di quelle a GPL. Esistono anche le condizioni per un ulteriore sviluppo: l’Italia è leader per la filiera industriale, la rete di distribuzione e quella delle officine di trasformazione; un sistema di regolazione che, per esempio, permette la circolazione delle auto a gas anche in presenza dei blocchi del traffico, o che ha già adottato misure di incentivazione.
Nel nostro Paese – sottolinea la Fondazione – esiste già un mercato, nel senso più ampio del termine, delle auto a gas, nonché le condizioni per espanderlo ulteriormente.
Lo studio arriva a stimare le ricadute economiche ed occupazionali. Al 2020: produzione +5 miliardi in media annua; il valore aggiunto +1,6 miliardi; nuova occupazione creata, in unità di lavoro standard, +27.300 unità.
Dati che possono anche migliorare se consideriamo che il vantaggio competitivo dell’Italia sulle auto a gas è di sistema, cioè non riguarda solo l’offerta (intesa come produzione della filiera delle auto a gas realizzata nel territorio nazionale) ma complessivamente la domanda in grado di esprimere il mercato italiano. Pertanto è possibile attuare una politica industriale che impieghi la capacità produttiva già presente e possa stimolarne di nuova.
Uno scenario di reshoring, ovvero di un progressivo rimpatrio di attività dall’estero (una quota della produzione e dell’assemblaggio là viene effettuata), porterebbe al 2030 a quasi 3,9 miliardi di euro di nuovo valore aggiunto e a quasi 66mila posti di lavoro in più, triplicando i valori dello scenario base.
Come questa situazione ottimale potrebbe realizzarsi? Mediante l’incentivazione di tutte le tipologie di alimentazione a basso impatto. Un atteggiamento che fino ad ora si è rivelato vincente, accogliendo subito il favore dell’utenza. Anzi, sottolinea la Fondazione, l’auto a gas, come nel recente passato, sarebbe la tecnologia premiata. Assicura infatti gli stessi livelli di servizio e soddisfazione delle auto tradizionali con costi assai più bassi, costituendo un valido prodotto anche per le fasce di popolazione con minore disponibilità di reddito: un impulso per la produzione e l’occupazione ed in una riduzione dell’esposizione verso l’estero.
Come è chiaro a molti – conclude la ricerca – (ma non a tutti, diciamo noi), la recessione economica non può essere superata senza uno stimolo della domanda interna.
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